Il giornalismo muore mentre il sindacato si autocelebra. Basteranno i 21 coraggiosi?

Senza Bavaglio
3 dicembre 2017

Ecco il comunicato stampa divulgato dalla FNSI dopo l’intervento del Senatore Maurizio Gasparri:

«È singolare che il senatore Maurizio Gasparri finga di non conoscere una regola basilare dello Stato di diritto, quella secondo la quale tutti possono agire liberamente in giudizio salvo poi pagare le spese in caso di soccombenza. Il caso che tanto appassiona il senatore Gasparri non fa eccezione. È legittimo che una sparuta minoranza di giornalisti abbia cercato di far annullare in giudizio un contratto nazionale di lavoro che, potrà piacere o no, è stato approvato da una larghissima maggioranza di giornalisti. Quello che non è accettabile è che, adesso, chi ha visto respingersi il ricorso pretenda che la FNSI, dopo essere stata trascinata in giudizio ed esserne uscita a testa alta, si accolli anche le spese legali di chi ha promosso il ricorso. Il senatore Gasparri è libero di farsi paladino di tutte le cause perse, ma non può dare lezioni di democrazia a nessuno, tantomeno alla FNSI».

Perfetto. Ecco la differenza tra noi e i dirigenti della FNSI. Pochi giorni prima di perdere la causa per abolire un contratto scellerato, noi abbiamo vinto una causa e sterilizzato uno statuto della Lombarda, fatto passare – secondo i giudici, non secondo noi – con metodi non regolari. L’Associazione Lombarda dei Giornalisti è stata condannata a pagare le spese legali, ma noi ci siamo ben guardarti da chiedere il denaro. Sono soldi dei colleghi e per noi sono sacri. Certo non imploriamo elemosine dalla FNSI ma siccome le spese cui siamo stati condannati sono ingenti, oltre che assurde, annunciamo già che solo qualcuno di noi andrà in appello.

Il sindacato critica i politici per le querele temerarie, fa finta però di non rendersi contro che 40 mila euro chiesti a colleghi (alcuni dei quali guadagnano 2000 euro all’anno) sono  una cifra iperbolica. Cioè una condanna emessa per intimidire, cioè per ingiungere: “Se vi azzardate a toccare il manovratore rimarrete fulminati. Sudditi screanzati: non osate sfidare il potere del re”.

Ma se ci siamo rivolti ai giudici è perché siamo sicuri di aver subìto un torto. E lo dimostra la dichiarazione avventata e altezzosa del comunicato della FNSI, secondo cui il contratto “è stato approvato da una larghissima maggioranza di giornalisti”.

Bene. Sapete quali erano le regole stabilite dai dirigenti del sindacato? Il referendum sarebbe stato valido solo se avesse votato il 50 per cento più uno degli iscritti. Ridicolo, quando si sa che alle elezioni vota solo il 10/15 per cento degli aventi diritto.

Ma non solo. Ammessi al voto anche i colleghi della RAI ai quali non si applica il contratto FNSI/FIEG. Infatti i giornalisti dell’ex servizio pubblico hanno, per esempio, diritto all’indennità ex fissa che il contratto ha abolito per tutti gli altri. Senza contare che i giornalisti della Rai non saranno mai licenziati, quelli delle aziende “normali” rischiano invece il posto ogni giorno.

Quello che stupisce è la determinazione con cui la FNSI difende un contratto che favorisce gli editori e penalizza i giornalisti. Il sindacato parla di perdita di posti di lavoro e di distruzione di quel tessuto sociale che per anni ha garantito una straordinaria difesa dell’indipendenza e dell’autonomia del giornalismo italiano.

Ma non riconosce l’errore storico di aver firmato nel 2014 quel contratto che ha permesso tutto questo. Siamo pronti a un confronto pubblico con chi sostiene che quello in vigore sia un buon contratto che ha garantito maggiori spazi di informazione e posti di lavoro a volontà.

Per capire lo sfacelo che ha investito l’informazione basta leggere il documento di quello che ha caparbiamente voluto questo contratto, l’allora segretario Franco Siddi, il sindacalista passato armi e bagagli nel campo degli imprenditori (di Stato naturalmente) che sta concludendo la sua carriera nel consiglio d’amministrazione della RAI.

http://www.senzabavaglio.info/2017/10/26/ecco-cosa-diceva-franco-siddi-nel-2009-sul-contratto-ora-siede-nel-cda-della-rai/

Se fossero seri e veramente interessati a difendere i giornalisti, i dirigenti della FNSI avrebbero dovuto ringraziare i colleghi che hanno fatto causa. Li avrebbero tratti d’impiccio da un errore clamoroso, il contratto appunto, fatto dai loro predecessori. Avrebbero dovuto dire: “Speriamo che i giudici vi diano ragione perché il contratto attuale è una porcheria”. Invece no.  Si ostinano a sostenere che in fondo è un bel contratto. Vadano a dirlo ai colleghi ex RCS, della Mondadori, del Messaggero, della Domus, dell’Universo e di tante altre grandi case editrici, che hanno perso il posto di lavoro, alle decine di prepensionati, ai giornalisti delle piccole testate chiuse lasciati a spasso, a quelli che hanno dovuto cambiare lavoro perché con il giornalismo non vivono più, ai freelance sottopagati, a quanti hanno visto tagliati i loro compensi da editori incapaci. Si tratta di centinaia di colleghi.

A ringraziare questo sindacato sono i manager che hanno ricevuto bonus favolosi per aver svolto un compito inumano: tagliare i posti di lavoro e lasciare centinaia di famiglie sul lastrico.

E quegli editori che nonostante non avessero i bilanci in rosso hanno potuto cacciare i giornalisti.

Mentre la dirigenza sindacale si autocelebra, il giornalismo muore, i posti di lavoro vengono erosi, i giornali sono illeggibili e settori trainanti come gli esteri sono stati abbandonati.

E che il sindacato sia allo sbando e viva ormai fuori dalla realtà, lo dimostra l’atteggiamento preso sulla vertenza legale che lo oppone a 21 coraggiosi colleghi.

E’ singolare, diciamo noi, non che Gasparri abbia sollevato critiche alla FNSI ma che il sindacato unico dei giornalisti non si sia accorto di quanto abnorme sia l’ammontare delle spese legali che i 21 giornalisti sono stati condannati a pagare. Qui non si discute sul fatto che chi perde, se condannato a pagare le spese legali, deve saldare il conto. Quello che è assolutamente fuori norma è l’ammontare, 40.000 euro in totale. Chiaramente un’intimidazione contro questi 21 coraggiosi colleghi che hanno osato sfidare i poteri forti. “Lesa maestà”, potremmo dire, e un monito: “Non fatelo mai più”.

Un monito rafforzato dalla reazione rabbiosa dei legali FIEG (comprensibile, visto il ruolo) e sorprendentemente determinata di quelli della FNSI. Come dire: “Giù la testa. E con la vostra, anche la testa dell’informazione seria che deve essere orientata, a forza, verso una libertà di stampa sempre più minuscola. Sempre più lontana dai suoi lettori”.

Tanto per la cronaca. Ormai lo sport più in voga tra i dirigenti delle Istituzioni dei giornalisti è quello di disattendere Statuti e leggi e di interpretare le norme a vantaggio personale, quindi non resta che rivolgersi ai giudici sperando appunto di ristabilire giustizia. Ecco perché abbiamo fatto causa a Milano (e abbiamo vinto) e a Roma (e abbiamo perso).

Credevamo che il sindacato dei giornalisti avesse tra i suoi compiti la difesa dello Stato di diritto. Forse i suoi capi non si sono accorti che la sentenza di Roma sancisce un principio aberrante: solo chi è ricco può intraprendere un’azione giudiziaria. Chi non ha i mezzi invece stia zitto e pieghi la testa. Il sindacato dei giornalisti – quello che parlava di schiena dritta, vi ricordate? – non esiste più: davanti ai poteri forti non si deve reagire. Invece noi abbiamo un vizio: reagiamo alla prepotenza e all’arroganza. Scusate siamo fatti così: noi siamo giornalisti!

Senza Bavaglio

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